Colle Gianicolo Da Piazza Trilussa si sale sul colle Gianicolo lungo via Garibaldi. Chiesa di San Pietro in Montorio che il 30 giugno 1849, venne a trovarsi a pochi metri dai luoghi dei combattimenti. Qui venivano portati i feriti. Qui fu stabilito l'ultimo quartier generale di Garibaldi. Tutto il convento venne bombardato dall'artiglieria francese, che dai bastioni conquistati teneva sotto tiro la città. Il tempietto del Bramante rimase miracolosamente indenne. Sul fianco della Chiesa si trova una lapide con una palla di cannone francese rinvenuta durante i lavori di restauro eseguiti nel 1995. Si prosegue con la visita del Mausoleo Ossario Gianicolense dedicato ai caduti per Roma Capitale i resti dei quali sono raccolti nella cripta. Nell'elenco dei caduti troviamo i nomi di tanti eroi, uomini e donne conosciuti e sconosciuti, dagli ufficiali di stato maggiore ai tamburini di 11 e 14 anni. In fondo alla cripta è la tomba di Goffredo Mameli, il poeta, aiutante di campo di Garibaldi, morto di cancrena a 21 anni. Dal 1946 l'inno di Mameli è l'inno nazionale della Repubblica Italiana. La passeggiata continua fino a Piazza Garibaldi dove svetta la statua all'eroe dei due mondi e si raggiunge per mezzogiorno il cannone
Colle Gianicolo
Da Piazza Trilussa si sale sul colle Gianicolo lungo via Garibaldi. Chiesa di San Pietro in Montorio che il 30 giugno 1849, venne a trovarsi a pochi metri dai luoghi dei combattimenti. Qui venivano portati i feriti. Qui fu stabilito l’ultimo quartier generale di Garibaldi. Tutto il convento venne bombardato dall’artiglieria francese, che dai bastioni conquistati teneva sotto tiro la città. Il tempietto del Bramante rimase miracolosamente indenne. Sul fianco della Chiesa si trova una lapide con una palla di cannone francese rinvenuta durante i lavori di restauro eseguiti nel 1995. Si prosegue con la visita del Mausoleo Ossario Gianicolense dedicato ai caduti per Roma Capitale i resti dei quali sono raccolti nella cripta. Nell’elenco dei caduti troviamo i nomi di tanti eroi, uomini e donne conosciuti e sconosciuti, dagli ufficiali di stato maggiore ai tamburini di 11 e 14 anni. In fondo alla cripta è la tomba di Goffredo Mameli, il poeta, aiutante di campo di Garibaldi, morto di cancrena a 21 anni. Dal 1946 l’inno di Mameli è l’inno nazionale della Repubblica Italiana. La passeggiata continua fino a Piazza Garibaldi dove svetta la statua all’eroe dei due mondi e si raggiunge per mezzogiorno il cannone
Alla fine del 1800 Roma viva una stagione di grande trasformazione urbanistica. Per il "pubblico interesse" della nuova Capitale d'Italia si giustifica la necessità di demolire e far posto a nuovi edifici. In questa fase, naturalmente, le scoperte archeologiche e i rinvenimenti di ogni genere si moltiplicano. La documentazione relativa per forza di cose scarseggia, non tiene il passo con il volume di scavi e reperti che vengono alla luce senza sosta. Rodolfo Lanciani, protagonista e testimone di questo periodo straordinario, nel 1886, all'Accademia dei Lincei dirà di temere di "essersi lasciata sfuggire un'occasione che non è per tornare, che è perduta per sempre". La zona di "Prati di Castello" era pressochè inalterata dal Rinascimento, occupata da vigne e rari edifici sulla sponda del Tevere. Qui verrà demolito il recinto pentagonale di Castel Sant'Angelo e le sue fortificazioni medievali, si amplierà il letto del fiume con relativa sistemazione degli argini. Nascerà il nuovo quartiere Prati. Qui, nel 1889 fervono i lavori per la costruzione del ponte Umberto I, sotto la guida dell'Ufficio tecnico speciale del Tevere nato per seguire la grande opera di bonifica e per costruire il Palazzo di Giustizia affidato all'ingegner Calderini. Il Comune acquista per queste nuove esigenze un'area militare ed espropria diversi edifici privati. Alcune strutture murarie antiche che in questa occasione vengono rinvenute sono documentate dal Calderini in maniera dettagliata ma senza possibilità di lettura interpretativa. Il Lanciani rileva le scoperte ma probabilmente troppo tardi quando alcuni muri non sono più visibili. Egli stesso lamenta l'impossibilità di conciliare l'attività edilizia con la ricerca storica ed archeologica. Lungo il lato nord del Palazzo di Giustizia si estende in direzione nord sud un porticato con tabernae. Sul Lato sud Calderini documenta una serie di muri e costruzioni. Sul lato est, il 10 maggio del 1889, vengono rinvenuti due sarcofagi appartenenti
Alla fine del 1800 Roma viva una stagione di grande trasformazione urbanistica. Per il “pubblico interesse” della nuova Capitale d’Italia si giustifica la necessità di demolire e far posto a nuovi edifici. In questa fase, naturalmente, le scoperte archeologiche e i rinvenimenti di ogni genere si moltiplicano. La documentazione relativa per forza di cose scarseggia, non tiene il passo con il volume di scavi e reperti che vengono alla luce senza sosta. Rodolfo Lanciani, protagonista e testimone di questo periodo straordinario, nel 1886, all’Accademia dei Lincei dirà di temere di “essersi lasciata sfuggire un’occasione che non è per tornare, che è perduta per sempre”. La zona di “Prati di Castello” era pressochè inalterata dal Rinascimento, occupata da vigne e rari edifici sulla sponda del Tevere. Qui verrà demolito il recinto pentagonale di Castel Sant’Angelo e le sue fortificazioni medievali, si amplierà il letto del fiume con relativa sistemazione degli argini. Nascerà il
nuovo quartiere Prati. Qui, nel 1889 fervono i lavori per la costruzione del ponte Umberto I, sotto la guida dell’Ufficio tecnico speciale del Tevere nato per seguire la grande opera di bonifica e per costruire il Palazzo di Giustizia affidato all’ingegner Calderini. Il Comune acquista per queste nuove esigenze un’area militare ed espropria diversi edifici privati. Alcune strutture murarie antiche che in questa occasione vengono rinvenute sono documentate dal Calderini in maniera dettagliata ma senza possibilità di lettura interpretativa. Il Lanciani rileva le scoperte ma probabilmente troppo tardi quando alcuni muri non sono più visibili. Egli stesso lamenta l’impossibilità di conciliare l’attività edilizia con la ricerca storica ed archeologica. Lungo il lato nord del Palazzo di Giustizia si estende in direzione nord sud un porticato con tabernae.
Sul Lato sud Calderini documenta una serie di muri e costruzioni. Sul lato est, il 10 maggio del 1889, vengono rinvenuti due sarcofagi appartenenti alla stessa famiglia come risulta dalle iscrizioni: i personaggi sono Crepereia Tryphaena e suo padre Crepereius Euhodus. I due sarcofagi erano sistemati l’uno accanto all’altro, come in un’unica sepoltura per due. La stessa decorazione, presente solo solo sui due lati brevi affiancati e su un lato lungo, e quella del coperchio ora perduto lasciava pensare ad una sistemazione contemporanea delle due sepolture in una sorta di monumento unico. Lanciani le descrive come deposte nel fondo di un pozzo ma Calderini nel suo rilievo descrive un edificio che prende la forma di un angolo retto proprio dove i sue sarcofagi furono rinvenuti. E’ possibile che ci sia stato qualche errore o imprecisione al momento dei ritrovamenti.
La scoperta è comunque eccezionale e chiama sul posto gli esperti del Comune. Il recupero viene fatto con grande attenzione. Il 12 maggio si apre il sarcofago di Crepereia, all’interno, per quanto ancora sigillato, era penetrata dell’acqua e si erano formate delle alghe dai lunghissimi filamenti color ebano.
…“Tolto il coperchio e lanciato uno sguardo sul cadavere attraverso il cristallo dell’acqua limpida e fresca, fummo stranamente sorpresi dall’aspetto del teschio, che ne appariva tuttora coperto dalla folta e lunga capigliatura ondeggiante sull’acqua”. La suggestione di questo ritrovamento quasi prodigioso fu immensa, l’esumazione della fanciulla fu realizzata con solenni onori. Giovanni Pascoli compose per l’occasione una poesia in latino in strofe saffiche che donò in occasione delle nozze alla figlia dell’onorevole Benzoni allora Ministro della Pubblica Istruzione e suo amico a Roma.
Il poeta immagina di assistere alla scoperta. Rievoca la cerimonia funebre per la giovinetta, gli sembra di rivivere l’amore del promesso sposo, il cui nome era Filetus, come sembrerebbe potersi dedurre dall’analisi del corredo.
“… Vitrea Virgo sub aqua latebas/at comans summis adiantus undis/nabat. An nocti dederas opacae/spargere crinis?…(Giovanni Pascoli, Crepereia Tryphaena 1893; Poematia et Epigrammata-Poesie minori) …”Ti nascondevi o fanciulla, nell’acqua trasparente, e sull’onda nuotavano i tuoi capelli di felce. Avevi concesso alla notte oscura il privilegio di scioglierli?…”
All’interno del sarcofago venne ritrovato un vero tesoro, oggi esposto presso la Centrale Montemartini, in Roma. Lo scheletro della fanciulla era perfettamente intatto, vicino a lei i suoi gioielli di ragazza, una corona con fermaglio d’argento con cui probabilmente era stata sepolta e infine una bambola dalle articolazioni mobili, che inizialmente sembrò essere di legno di quercia o di ebano e dopo il restauro si rivelò di avorio. Un piccolissimo cofanetto rivestito di lastrine di avorio conteneva i gioielli e gli oggetti (pettinini, specchietti) della bambola che a sua volta indossava al pollice della mano sinistra un anello con un ciondolino a forma di chiave. La piccola chiave del suo cofanetto.
Dal nome della fanciulla e di suo padre, Tryphaena e Euhodus, di sicura origine greca, si deduce che entrambi appartenevano ad una famiglia di liberti. Crepereia aveva circa 20 anni e probabilmente era una promessa sposa. Uno degli anellini del corredo aveva un castone di corniola con la rappresentazione di due mani che si stringono (segno nuziale) e l’altro portava il nome di Filetus, il promesso sposo, ricavato nel cammeo. I dati cronologici più chiari ci vengono senz’altro dall’analisi della bambola e della sua acconciatura, estremamente curata e derivante da una sorta di fusione tra elementi propri dell’epoca di Faustina Maggiore e acconciature dell’epoca di Faustina Minore. All’epoca e allo stile della prima, moglie di Antonino Pio morta nel 141 d.C. , riconduce la complessa pettinatura formata da piccole trecce che vanno a raccogliersi sulla sommità del capo. Alla moda “innovativa” adottata da Faustina Minore dopo il 150 d.C. riporta invece l’acconciatura visibile frontalmente, con capelli spartiti sulla fronte e divisi morbidamente ai lati del viso a coprire le orecchie. La raffinatezza artistica del ritratto, il sistema delle articolazioni, la perizia e la padronanza tecnica esibite rendono la bambola un’opera eccezionale.
Ci può stupire che un giocattolo venisse posto vicino ad una fanciulla ormai in età di matrimonio. Forse il deporre un oggetto collegato all’infanzia nella sepoltura aveva principalmente un valore simbolico-religioso di offerta alle divinità protettrici dell’infanzia da parte di fanciulli e fanciulle in procinto di abbandonare l’adolescenza. Allo stesso periodo, cioè all’età Antonina, agli anni successivi al 150 d.C, riportano i dettagli della lavorazione a rilievo del lato breve del sarcofago della fanciulla.
Si tratta di una delicata e mesta scena di compianto funebre che mi sembra richiamare con evidenza la tipologia espressa, pur con maggiore raffinatezza e padronanza, nel rilievo in marmo pentelico esposto in Palazzo Altemps, noto come “Nova nupta” e interpretato solitamente come rappresentazione del mito di Ifigenia. L’eroina, figlia di Agamennone, viene preparata per le nozze con Achille, ma in realtà il suo destino è il sacrificio agli dei. Ad un medesimo modello, seppure in maniera non altrettanto esperta, mi sembra riporti sia il velario sullo sfondo, che anche la compostezza delle figure e in generale l’atmosfera di dolore evocata. Anche il rilievo di Palazzo Altemps, particolarmente noto ed amato durante il Rinascimento tanto da aver
Raffaello, 1514. Firenze, Galleria degli Uffizi.
ispirato lo stesso Raffaello, costituiva il lato breve di un sarcofago e rimandava con molta probabilità ad una scena nuziale sommessa e triste, come sommesso e triste doveva essere anche per chi preparò il sarcofago per Creperieia, il riferimento al matrimonio probabilmente mai avvenuto della fanciulla.
Per sarcofagi e corredo a lungo non ci fu pace. Fino al 1928 furono esposti al Palazzo dei Conservatori; dal 1929 furono presso l’Antiquarium Comunale del Celio. Nel 1939 ci fu il parziale sgombro dell’Antiquarium, quindi i sarcofagi con il corredo tornarono nei depositi dei Musei Capitolini. Nel 2016 viene infine assegnata ai reperti la collocazione attuale.
(Federica Carpinelli)
Per approfondimenti: Anna Mura Sommella, Scoperte archeologiche: “Crepereia Tryphaena” in www.cortedicassazione.it; Eugenia Salza Prina Ricotti: Giochi e Giocattoli (Vita e Costumi dei Romani antichi, 18), 1995 -edizioni Quasar; AA.VV. Palazzo Altemps, le collezioni: pp.160-1, 2014 -Electa.
Raffaello muore il 6 di aprile del 1520. L’umanista veneto Marcantonio Michiel nel suo resoconto redatto all’indomani del triste evento esprime come il cordoglio nel mondo della cultura sia unanime ma anche come già ci si stia preparando per ricordare degnamente l’artista con “accurate compositioni”. Se ne deduce che immediatamente ci sia l’impegno da parte dei letterati a sublimare poeticamente quello sconforto che tutti aveva colto. Probabilmente poi la richiesta da parte del pontefice Leone X di un’iscrizione da collocare presso la tomba del pittore determinò come risposta una sorta di certamen poetico, un vero fiorire di composizioni. Il vincitore di questa singolare gara fu l’epitaffio scritto secondo il Vasari da Pietro Bembo, umanista veneziano entrato al servizio di papa Leone X per la sua riconosciuta cultura e sostenitore di un intransigente ciceronianesimo nell’ambito delle lettere latine. Il testo da lui composto recita: A Raffaello Sanzio, urbinate, figlio di Giovanni, pittore straordinario e rivale degli antichi, le cui quasi vive figure qualora tu contempli, facilmente vi potrai scorgere l’accordo dell’arte e della natura. Con capolavori di pittura e architettura accrebbe la gloria dei papi Giulio II e Leone X. Visse trentasette anni, integro, interi. Nel giorno in cui nacque, in quello ha cessato di essere. Il 6 di aprile (7 giorni prima delle Idi di Aprile) del 1520… Il distico elegiaco finale (due versi formati da un esametro e da un pentametro), meraviglioso capolavoro del latino umanistico, capace di condensare eppure di esprimere compiutamente la profondità e l’universalità del sentimento fu inciso infine sulla sua lapide e ancora oggi viene letto sul coperchio del sarcofago che conserva “ossa e ceneri” di Raffaello all’interno del Pantheon. ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI Qui giace proprio quel Raffaello, mentre era in vita il quale,
Raffaello muore il 6 di aprile del 1520. L’umanista veneto Marcantonio Michiel nel suo resoconto redatto all’indomani del triste evento esprime come il cordoglio nel mondo della cultura sia unanime ma anche come già ci si stia preparando per ricordare degnamente l’artista con “accurate compositioni”. Se ne deduce che immediatamente ci sia l’impegno da parte dei letterati a sublimare poeticamente quello sconforto che tutti aveva colto. Probabilmente poi la richiesta da parte del pontefice Leone X di un’iscrizione da collocare presso la tomba del pittore determinò come risposta una sorta di certamen poetico, un vero fiorire di composizioni. Il vincitore di questa singolare gara fu l’epitaffio scritto secondo il Vasari da Pietro Bembo, umanista veneziano entrato al servizio di papa Leone X per la sua riconosciuta cultura e sostenitore di un intransigente ciceronianesimo nell’ambito delle lettere latine. Il testo da lui composto recita:
A Raffaello Sanzio, urbinate, figlio di Giovanni, pittore straordinario e rivale degli antichi, le cui quasi vive figure qualora tu contempli, facilmente vi potrai scorgere l’accordo dell’arte e della natura. Con capolavori di pittura e architettura accrebbe la gloria dei papi Giulio II e Leone X. Visse trentasette anni, integro, interi. Nel giorno in cui nacque, in quello ha cessato di essere. Il 6 di aprile (7 giorni prima delle Idi di Aprile) del 1520…
Il distico elegiaco finale (due versi formati da un esametro e da un pentametro), meraviglioso capolavoro del latino umanistico, capace di condensare eppure di esprimere compiutamente la profondità e l’universalità del sentimento fu inciso infine sulla sua lapide e ancora oggi viene letto sul coperchio del sarcofago che conserva “ossa e ceneri” di Raffaello all’interno del Pantheon.
ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI
RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI
Qui giace proprio quel Raffaello, mentre era in vita il quale, la Gran Madre di tutte le cose temette di essere da lui vinta, e una volta morto temette di morire con lui.
Versi che corrono agili al principio dove si presenta in veloci dattili la grandezza attiva di Raffaello da vivo, il timore della Natura Madre di essere da lui vinta e che rallentano adagiati e composti nella seconda parte introdotta da solenni spondei per chiudersi con una doppia ripetizione del verbo “morire”.
Baldassare Castiglione In questo dipinto, conservato al Louvre, Raffaello rappresenta il dotto umanista, letterato e diplomatico che fu al servizio delle più importanti corti italiane dell’epoca. Francesco Maria della Rovere duca di Urbino, Francesco II Gonzaga di Mantova e Ludovico il Moro a Milano. Nel 1528 a Venezia viene pubblicata la sua opere maggiore ”il Cortigiano”. Questo è considerato uno dei più influenti ritratti della pittura europea, Raffello è stato infatti capace di fissare sulla tela non solo l’immagine dell’illustre letterato ma anche la sua anima interiore. La data dell’opera era stata generalmente fissata intorno al 1514-1515 ma la critica ora è più propensa ad anticiparla al 1513, cioè quando il Castiglione si trovava a Roma per partecipare ai funerali di papa Giulio II come rappresentante del duca di Urbino. Insieme al suo signore assiste anche all’elezione e incoronazione del nuovo papa Leone X. Stilisticamente il dipinto s’inserisce nel “momento veneto” di Raffaello, cioè quando è impegnato nella stanza di Eliodoro ed è in contatto, tramite il banchiere Agostino Chigi, con Sebastiano del Piombo. E’ facile immaginare come i due, che già si conoscevano ad Ubino, abbiano stretto in quel frangente una forte amicizia, un sodalizio umano e intellettuale, che durerà negli anni e li porterà a scrivere insieme la famosa lettera di denuncia nel 1515 a papa Leone X. Il ritratto raffigura un uomo sereno e affabile, con eleganti abiti invernali, una giubba di velluto nero avvolta in una pelliccia da dove emerge una candida camicia plissettata. Il fondo è neutro irreale, non c’è via di fuga per l’occhio e tutto contribuisce all’isolamento della figura. In testa indossa una berretto particolare chiamato “scuffiotto” decorato con una medaglia, per coprire la sua calvizie precoce nonostante l’età, aveva nel ritratto 35 anni. Lo sguardo è il vero protagonista dell’immagine, l’attenzione si
Baldassare Castiglione
In questo dipinto, conservato al Louvre, Raffaello rappresenta il dotto umanista, letterato e diplomatico che fu al servizio delle più importanti corti italiane dell’epoca. Francesco Maria della Rovere duca di Urbino, Francesco II Gonzaga di Mantova e Ludovico il Moro a Milano. Nel 1528 a Venezia viene pubblicata la sua opere maggiore ”il Cortigiano”. Questo è considerato uno dei più influenti ritratti della pittura europea, Raffello è stato infatti capace di fissare sulla tela non solo l’immagine dell’illustre letterato ma anche la sua anima interiore.
La data dell’opera era stata generalmente fissata intorno al 1514-1515 ma la critica ora è più propensa ad anticiparla al 1513, cioè quando il Castiglione si trovava a Roma per partecipare ai funerali di papa Giulio II come rappresentante del duca di Urbino. Insieme al suo signore assiste anche all’elezione e incoronazione del nuovo papa Leone X. Stilisticamente il dipinto s’inserisce nel “momento veneto” di Raffaello, cioè quando è impegnato nella stanza di Eliodoro ed è in contatto, tramite il banchiere Agostino Chigi, con Sebastiano del Piombo.
E’ facile immaginare come i due, che già si conoscevano ad Ubino, abbiano stretto in quel frangente una forte amicizia, un sodalizio umano e intellettuale, che durerà negli anni e li porterà a scrivere insieme la famosa lettera di denuncia nel 1515 a papa Leone X.
Il ritratto raffigura un uomo sereno e affabile, con eleganti abiti invernali, una giubba di velluto nero avvolta in una pelliccia da dove emerge una candida camicia plissettata. Il fondo è neutro irreale, non c’è via di fuga per l’occhio e tutto contribuisce all’isolamento della figura. In testa indossa una berretto particolare chiamato “scuffiotto” decorato con una medaglia, per coprire la sua calvizie precoce nonostante l’età, aveva nel ritratto 35 anni. Lo sguardo è il vero protagonista dell’immagine, l’attenzione si concentra sul bel viso lievemente roseo, gli occhi azzurri e penetranti affiorano dalla gamma scura dell’abbigliamento e denotano il lampo profondo dell’anima e tutta l’intelligenza e il fascino del personaggio che non ostenta la sua posizione. E’ così che lo ritrae il suo amico in una pausa di riflessione durante una loro conversazione.
Ritratto di giovane con pomo In questo dipinto di Raffaello conservato agli Uffizi di Firenze qualcuno ha voluto riconoscere l’immagine del giovane Francesco Maria della Rovere che dopo l’estinzione dei Montefeltro eredita grazie all’appoggio dello zio papa Giulio II il ducato di Urbino. Si tratta in ogni caso di un giovane adolescente di alto rango come si evince dal suo abbigliamento. Indossa un robone (veste lunga molto e ampia usata dai gentiluomini, dottori e letterati dell’epoca) con una ricca quadrettatura in trama d’oro con fodera di zibellino. Questo ritratto di altissima qualità impostato con sicurezza volumetrica è datato al 1504 circa, cioè al periodo fiorentino quando l’artista rielabora le novità presenti nella città dell’Arno e fa sua la lezione peruginesca e fiamminga. Il robone di rosso inteso è un pezzo di virtuosismo per il realismo nella resa del pelo della pelliccia, il dettaglio della manica gonfia e spiegazzata, lo sguardo è limpido e fermo, le pupille fisse in un punto lontano, le labbra sottili serrate. Le eleganti mani curate escono dalle ampie maniche e stringono un pomo che può essere un’allusione alla mela del giudizio di Paride o al pomo del giardino delle Esperidi.
Ritratto di giovane con pomo
In questo dipinto di Raffaello conservato agli Uffizi di Firenze qualcuno ha voluto riconoscere l’immagine del giovane Francesco Maria della Rovere che dopo l’estinzione dei Montefeltro eredita grazie all’appoggio dello zio papa Giulio II il ducato di Urbino. Si tratta in ogni caso di un giovane adolescente di alto rango come si evince dal suo abbigliamento. Indossa un robone (veste lunga molto e ampia usata dai gentiluomini, dottori e letterati dell’epoca) con una ricca quadrettatura in trama d’oro con fodera di zibellino. Questo ritratto di altissima qualità impostato con sicurezza volumetrica è datato al 1504 circa, cioè al periodo fiorentino quando l’artista rielabora le novità presenti nella città dell’Arno e fa sua la lezione peruginesca e fiamminga. Il robone di rosso inteso è un pezzo di virtuosismo per il realismo nella resa del pelo della pelliccia, il dettaglio della manica gonfia e spiegazzata, lo sguardo è limpido e fermo, le pupille fisse in un punto lontano, le labbra sottili serrate. Le eleganti mani curate escono dalle ampie maniche e stringono un pomo che può essere un’allusione alla mela del giudizio di Paride o al pomo del giardino delle Esperidi.
Bloccati a casa in quarantena ci dedichiamo comunque a ciò che amiamo, al nostro lavoro, divulgare arte, cultura, storia. Con l'aiuto dei media ci teniamo in contatto e ci auguriamo di poter tornare prestissimo alle nostre attività. In questo video parlo del nome degli antichi romani, di come era strutturato e delle analogie e differenze con il sistema onomastico attuale. Piccole curiosità per farci compagnia.
Bloccati a casa in quarantena ci dedichiamo comunque a ciò che amiamo, al nostro lavoro, divulgare arte, cultura, storia. Con l’aiuto dei media ci teniamo in contatto e ci auguriamo di poter tornare prestissimo alle nostre attività. In questo video parlo del nome degli antichi romani, di come era strutturato e delle analogie e differenze con il sistemaonomastico attuale. Piccole curiosità per farci compagnia.
Ritratto di Giulio II della Rovere In questo dipinto, conservato alla National Gallery di Londra, Raffaello rappresenta il cardinale Giuliano della Rovere eletto papa la notte del 31 Ottobre del 1503. E' stato soprannominato il papa guerriero per aver condotto personalmente le sue truppe contro quei nemici che infestavano i territori della chiesa, ma è anche stato uno dei più grandi intenditori d'arte tra i papi del uso tempo. Sarà lui ad affidare la decorazione della volta della cappella Sistina a Michelangelo e a coinvolgere Raffaello nella decorazione delle sue stanze. Qui Raffaello lo ritrae quasi settantenne seduto sulla sedia camerale dall'alto schienale che termina in due ghiande d'oro, simbolo araldico della famiglia della Rovere. Questa immagine così iconica è considerata il primo ritratto di stato, prototipo per tutti i ritratti successivi dei papi. Sappiamo che questo dipinto viene esposto nella chiesa di Santa Maria del Popolo dopo la morte del papa nel 1513 per circa otto giorni e nelle grandi occasioni liturgiche. Questa pubblica esposizione richiamò un grande pubblico e destò curiosità tra la folla, furono più quelli che videro la versione di Raffaello che il papa da vicino. In questo ritratto Raffaello sembra correggere l'aspetto temibile del pontefice, non è più il monarca bellicoso ma un uomo anziano, fragile e umano, con lo sguardo perso nel vuoto, in un momento di introspettiva meditazione. Alle sue spalle lo sfondo vede di una tenda con le insegne delle chiavi, possiamo immaginare che si tratti dell'anticamera impreziosita di tappeti nella quale riceveva i visitatori. Forse è stato lo stesso papa, dopo le numerose sconfitte sul campo, a voler dare una nuova immagine di se, in un momento difficile del suo pontificato. Ma questo ritratto non lo rappresenta sconfitto e umiliato, le mani ben curate, adornate di anelli, sono ancora energiche, stringono
Ritratto di Giulio II della Rovere
In questo dipinto, conservato alla National Gallery di Londra, Raffaello rappresenta il cardinale Giuliano della Rovere eletto papa la notte del 31 Ottobre del 1503.
E’ stato soprannominato il papa guerriero per aver condotto personalmente le sue truppe contro quei nemici che infestavano i territori della chiesa, ma è anche stato uno dei più grandi intenditori d’arte tra i papi del uso tempo. Sarà lui ad affidare la decorazione della volta della cappella Sistina a Michelangelo e a coinvolgere Raffaello nella decorazione delle sue stanze.
Qui Raffaello lo ritrae quasi settantenne seduto sulla sedia camerale dall’alto schienale che termina in due ghiande d’oro, simbolo araldico della famiglia della Rovere. Questa immagine così iconica è considerata il primo ritratto di stato, prototipo per tutti i ritratti successivi dei papi.
Sappiamo che questo dipinto viene esposto nella chiesa di Santa Maria del Popolo dopo la morte del papa nel 1513 per circa otto giorni e nelle grandi occasioni liturgiche. Questa pubblica esposizione richiamò un grande pubblico e destò curiosità tra la folla, furono più quelli che videro la versione di Raffaello che il papa da vicino.
In questo ritratto Raffaello sembra correggere l’aspetto temibile del pontefice, non è più il monarca bellicoso ma un uomo anziano, fragile e umano, con lo sguardo perso nel vuoto, in un momento di introspettiva meditazione. Alle sue spalle lo sfondo vede di una tenda con le insegne delle chiavi, possiamo immaginare che si tratti dell’anticamera impreziosita di tappeti nella quale riceveva i visitatori. Forse è stato lo stesso papa, dopo le numerose sconfitte sul campo, a voler dare una nuova immagine di se, in un momento difficile del suo pontificato.
Ma questo ritratto non lo rappresenta sconfitto e umiliato, le mani ben curate, adornate di anelli, sono ancora energiche, stringono un fazzoletto bianco. La bocca è serrata, le guance cadenti per l’età denotano ancora un volto bello e regolare, lo sguardo, con gli occhi infossati, è rivolto verso il basso, perso nel vuoto come acceso da una luce interiore, in un momento di introspettiva meditazione. Il volto è incorniciato dalla barba grigio dorata che forma una corona di luce intorno al viso. E’ la famosa barba che secondo le cronache dell’epoca lo faceva somigliare ad un orso che si era fatto crescere per penitenza fino a quando non avesse cacciato i francesi dall’Italia.
La gamma cromatica è giocata sui rossi, dal camauro alla mozzetta, fino ai fili dorati dei pennacchi della barba e dei pomelli della sedia, la veste bianca plissettata si alterna ai rossi.
Questo dipinto si inserisce nella fase veneta di Raffaello.
Sabato 7 marzo alle ore 10.30 ci incontriamo in piazza Trilussa per andare a scoprire il cuore di Trastevere. La XIV regio augustea conserva ancora oggi il suo carattere antico e popolare. A ridosso del fiume Tevere, la storia del rione si intreccia indissolubilmente a quella del fiume che ha permesso una ininterrotta occupazione del suolo e la conservazione dell'intricato groviglio di vicoli nei quali ancora oggi volentieri ci perdiamo. Nonostante sia stato stravolto dalla costruzione del Viale del Re, oggi viale Trastevere, l'antico tessuto urbanistico è rimasto riconoscibile. Ci addentreremo tra palazzi nobiliari e chiese medievali, storie, leggende e ricordi di personaggi indimenticabili. Passeggiata affascinante e adatta a tutti. Prenotazione obbligatoria a info@arttur.it; oppure per sms a 3356525919 (Federica ) o 3397138467 (Lara). Costo della visita guidata euro 7 (3 per ragazzi fino a 14 anni e 1.50 per bambini fino a 10 anni).
Sabato 7 marzo alle ore 10.30 ci incontriamo in piazza Trilussa per andare a scoprire il cuore di Trastevere. La XIV regio augustea conserva ancora oggi il suo carattere antico e popolare. A ridosso del fiume Tevere, la storia del rione si intreccia indissolubilmente a quella del fiume che ha permesso una ininterrotta occupazione del suolo e la conservazione dell’intricato groviglio di vicoli nei quali ancora oggi volentieri ci perdiamo. Nonostante sia stato stravolto dalla costruzione del Viale del Re, oggi viale Trastevere, l’antico tessuto urbanistico è rimasto riconoscibile. Ci addentreremo tra palazzi nobiliari e chiese medievali, storie, leggende e ricordi di personaggi indimenticabili. Passeggiata affascinante e adatta a tutti. Prenotazione obbligatoria a info@arttur.it; oppure per sms a 3356525919 (Federica ) o 3397138467 (Lara). Costo della visita guidata euro 7 (3 per ragazzi fino a 14 anni e 1.50 per bambini fino a 10 anni).
Domenica 6 marzo 2022 alle ore 11.15 viale Ostiense 106. Visitiamo un esempio straordinario di archeologia industriale riconvertita in sede museale, la Centrale Montemartini, all’interno della quale è in corso la mostra: Colori dei Romani. I mosaici delle collezioni capitoline.
Fu il primo impianto in Roma per la produzione pubblica di energia elettrica. In esposizione la grandiosa caldaia della Centrale, alta 15 metri, i due immensi motori diesel prodotti dalla ditta Tosi di Legnano del peso di 81 tonnellate ciascuno e macchinari e strumenti pertinenti alla centrale iniziata nel 1912. Tra le macchine si trovano in esposizione reperti provenienti dalle collezioni comunali di Roma. Il famoso frontone del tempio di Apollo Sosiano, il grandioso mosaico ritrovato durante gli scavi per la realizzazione del sottopasso di Santa Bibiana, statue di insuperabile raffinatezza provenienti dagli Horti Romani, come il bellissimo Marsia dalla Villa delle Vignacce di II sec.d.C. Nella sala che ospitava la seconda caldaia della centrale, inoltre, si trova oggi il treno di Pio IX, il più antico treno esistente oggi in Italia. Tre incredibili carrozze, la Cappella, La Sala del Trono e la Loggia delle Benedizioni, realizzate per il papa Mastai Ferretti in Francia. Infine è visibile all’interno del museo il sarcofago e il corredo della bambina romana di nome Crepereia Tryphena trovato durante i lavori per la realizzazione dei muraglioni del Tevere. Tra gli oggetti di grande valore, come monili e collane è esposta una bambola in avorio con le braccia e le gambe snodabili. Il suo giocattolo.
La preziosa mostra temporanea illustra l’arte e la tecnica del mosaico e permette di ammirare, talora per la prima volta, i raffinatissimi mosaici che ornavano edifici e dimore di lusso dall’età repubblicana al tardo impero offrendo un significativo spaccato della società romana.
Prenotazione obbligatoria a info@arttur.it; oppure per sms a 3356525919 (Federica) o 3397138467 (Lara). Ingresso gratuito per la prima domenica del mese. Costo
della visita guidata euro 10 (6 per i ragazzi fino a 14 anni e 1,50 per i bambini fino a 10 anni).
In occasione delle celebrazioni per il Cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio (Urbino 1483-Roma 1520) proponiamo un itinerario celebrativo alla scoperta delle grandi opere che il grande artista del Rinascimento ha lasciato nella nostra città. L'itinerario si snoda in una giornata intera. La Villa della Farnesina: una delle più nobili e armoniose realizzazioni del Rinascimento italiano. Nei sobri progetti concepiti dall'architetto Baldassarre Peruzzi si inserisce il ricco programma decorativo degli interni realizzato da sommi maestri come Raffaello, Sebastiano del Piombo, Sodoma, Peruzzi. (Ingresso a pagamento). Passeggiata "sulle orme di Raffaello": l'itinerario ha inizio da Piazza del Popolo, dove, nella Chiesa di Santa Maria del Popolo, visiteremo la Cappella Chigi, progettata da Raffaello . Del grande artista sono anche i disegni preparatori per lo splendido mosaico della cupola. Si prosegue per raggiungere la Chiesa di Sant'Agostino in Campo Marzio dove si può ammirare lo splendido affresco del Profeta Isaia di Raffaello, realizzato negli stessi anni in cui Michelangelo lavorava alla Cappella Sistina in Vaticano. l'itinerario comprende anche la Chiesa di Santa Maria della Pace dove si trova la splendida opera di Raffaello rappresentante Sibille ed Angeli per terminare al Pantheon, luogo in cui in grande artista riposa. (Non sono previsti ingressi a pagamento)
In occasione delle celebrazioni per il Cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio (Urbino 1483-Roma 1520) proponiamo un itinerario celebrativo alla scoperta delle grandi opere che il grande artista del Rinascimento ha lasciato nella nostra città. L’itinerario si snoda in una giornata intera.
La Villa della Farnesina: una delle più nobili e armoniose realizzazioni del Rinascimento italiano. Nei sobri progetti concepiti dall’architetto Baldassarre Peruzzi si inserisce il ricco programma decorativo degli interni realizzato da sommi maestri come Raffaello, Sebastiano del Piombo, Sodoma, Peruzzi. (Ingresso a pagamento).
Passeggiata “sulle orme di Raffaello”: l’itinerario ha inizio da Piazza del Popolo, dove, nella Chiesa di Santa Maria del Popolo, visiteremo la Cappella Chigi, progettata da Raffaello . Del grande artista sono anche i disegni preparatori per lo splendido mosaico della cupola. Si prosegue per raggiungere la Chiesa di Sant’Agostino in Campo Marzio dove si può ammirare lo splendido affresco del Profeta Isaia di Raffaello, realizzato negli stessi anni in cui Michelangelo lavorava alla Cappella Sistina in Vaticano. l’itinerario comprende anche la Chiesa di Santa Maria della Pace dove si trova la splendida opera di Raffaello rappresentante Sibille ed Angeli per terminare al Pantheon, luogo in cui in grande artista riposa. (Non sono previsti ingressi a pagamento)
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