Raffaello muore il 6 di aprile del 1520. L’umanista veneto Marcantonio Michiel nel suo resoconto redatto all’indomani del triste evento esprime come il cordoglio nel mondo della cultura sia unanime ma anche come già ci si stia preparando per ricordare degnamente l’artista con “accurate compositioni”. Se ne deduce che immediatamente ci sia l’impegno da parte dei letterati a sublimare poeticamente quello sconforto che tutti aveva colto. Probabilmente poi la richiesta da parte del pontefice Leone X di un’iscrizione da collocare presso la tomba del pittore determinò come risposta una sorta di certamen poetico, un vero fiorire di composizioni. Il vincitore di questa singolare gara fu l’epitaffio scritto secondo il Vasari da Pietro Bembo, umanista veneziano entrato al servizio di papa Leone X per la sua riconosciuta cultura e sostenitore di un intransigente ciceronianesimo nell’ambito delle lettere latine. Il testo da lui composto recita:

A Raffaello Sanzio, urbinate, figlio di Giovanni, pittore straordinario e rivale degli antichi, le cui quasi vive figure qualora tu contempli, facilmente vi potrai scorgere l’accordo dell’arte e della natura. Con capolavori di pittura e architettura accrebbe la gloria dei papi Giulio II e Leone X. Visse trentasette anni, integro, interi. Nel giorno in cui nacque, in quello ha cessato di essere. Il 6 di aprile (7 giorni prima delle Idi di Aprile) del 1520

Il distico elegiaco finale (due versi formati da un esametro e da un pentametro), meraviglioso capolavoro del latino umanistico, capace di condensare eppure di esprimere compiutamente la profondità e l’universalità del sentimento fu inciso infine sulla sua lapide e ancora oggi viene letto sul coperchio del sarcofago che conserva “ossa e ceneri” di Raffaello all’interno del Pantheon.

ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI

RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI

Qui giace proprio quel Raffaello, mentre era in vita il quale, la Gran Madre di tutte le cose temette di essere da lui vinta, e una volta morto temette di morire con lui.

Versi che corrono agili al principio dove si presenta in veloci dattili la grandezza attiva di Raffaello da vivo, il timore della Natura Madre di essere da lui vinta e che rallentano adagiati e composti nella seconda parte introdotta da solenni spondei per chiudersi con una doppia ripetizione del verbo “morire”.

Bloccati a casa in quarantena ci dedichiamo comunque a ciò che amiamo, al nostro lavoro, divulgare arte, cultura, storia. Con l’aiuto dei media ci teniamo in contatto e ci auguriamo di poter tornare prestissimo alle nostre attività. In questo video parlo del nome degli antichi romani, di come era strutturato e delle analogie e differenze con il sistema onomastico attuale. Piccole curiosità per farci compagnia.

 

 

 

Ora vorrei invitare chi ha deciso di venire a visitare Roma a sfruttare il tempo che ha a disposizione per conoscere questa citta’ unica. Un’infinita’ di siti pubblicizzano ogni genere di visita ai Musei Vaticani e al Colosseo. Ma siete sicuri che e’ li che volete andare? O vi viene spontaneo pensare a questi luoghi solo perche’ non sentite parlare di altro? I celebri monumenti e musei che vediamo nelle strepitose trasmissioni in tv non sono gli stessi che affronteremmo da semplici visitatori. Le difficolta’ per entrare, le prenotazioni, le file sotto il sole…siamo sicuri che veniamo a Roma per questo? Non vorremmo invece gustarci la citta’ piu’ bella del mondo salendo sui colli, passeggiando negli antichi rioni, ammirando i panorami piu’ suggestivi? Abbiamo un immenso museo a cielo aperto e totalmente gratuito da scoprire ma quasi nessuno lo promuove, lo pubblicizza ce lo rende attraente con spot accattivanti.
Il Colle Capitolino per esempio e’ un vero gioiello! Dobbiamo assolutamente dedicargli una mezza giornata della nostra vacanza. Le architetture di Michelangelo lo rendono di un’insuperabile eleganza e maesta’. Scalinate, statue, facciate e storie millenarie sono li’ ad aspettarci. Dal sito in cui sorgeva il tempio di Giove Ottimo Massimo spaziamo con lo sguardo sul Foro Romano, riconosciamo il Palatino, troviamo il percorso della via Sacra. Possiamo salire ancora piu’ su, sull’arx, la rocca, il luogo del tempio di Giunone ed entrare in una Basilica che e’ anche museo di se stessa: Santa Maria in Ara Coeli. Assaporiamo qui la Roma del medievo, con la luce dei suoi antichi marmi, le colonne elegantemente spaiate, le cappelle dove si respira ancora un antico raccoglimento e ricordi di fervida devozione.

Esiste un ascensore panoramico sull’Altare della Patria, che conduce fino alla terrazza delle “quadrighe”, a sfiorare il cielo, e ci offre una emozionante vista a 360 gradi e soprattutto la sensazione di abbracciare l’immensa bellezza di Roma. Possiamo inoltre entrare nei Musei Capitolini ed accorgerci che sono belli da togliere il fiato. Quello che abbiamo visto sui libri di storia, quello che abbiamo letto o addirittura studiato…e’li`. La Lupa Capitolina, il Marco Aurelio di bronzo dorato, il Galata morente. E se andiamo in Pinacoteca troviamo Caravaggio…e non solo. Attraverso un percorso sotterraneo alla piazza del Campidoglio ci ritroviamo tra palazzi romani di II secondo secolo, resti del tempio di Veiove (II sec. a.C.) e infine ci troviamo nel Tabularium, l’archivio di Stato romano, affacciato con arcate scolpite dal vento sul clivo capitolino.
Sicuramente mezza giornata non può bastare…c’è cosi tanto da cercare, così tanto da trovare. Il mio invito è a non fermarsi alla superficie, non cercare i luoghi affollati per poi affannarsi a cercare il modo di non fare interminabili file. Roma è infinitamente di più di quello che possiamo pensare.

Non so come  possa essere accaduto che un’associazione culturale di Ancona abbia richiesto di visitare la Necropoli di Porto all’Isola Sacra, ma è accaduto.
E  così dopo non so più quanti anni sono passata di nuovo attraverso quel cancello che si apre sulla terra mista a sabbia di uno dei posti più particolari che io conosca.
Il custode è un signore con i capelli bianchi che mi viene incontro tra i suoi cani scattanti e  scodinzolanti. Vivono lì. In via di Monte Spinoncia dove  nemmeno il navigatore è stato capace di condurmi senza qualche incertezza. L’ingresso alla necropoli è gratuito e questa volta si fa un’eccezione perché è domenica mentre invece l’apertura è solo di sabato. Il primo e il terzo sabato del mese. Il mio gruppo è in grande ritardo, non riescono a trovare la strada. Non è facile. Allora ho un po’ di tempo. Il tempo di entrare da sola. Il basolato è comodo, ben conservato, a doppia carreggiata.
A destra e sinistra i soliti muri e muretti dei siti archeologici. Ma basta qualche passo in più e lo spettacolo è di quelli che a me ancora da’ gioia, meglio, emozione. Edifici intatti. Iscrizioni integre. Leggibili. Di quelle che in un attimo ti permettono di entrare nel passato,  di conoscere quasi sensibilmente chi si è curato di quelle costruzioni, le ha volute, costruite e infine abitate. Le tombe oggi sono numerate e quelle meglio conservate sono quelle allineate ad ovest, cioè a sinistra. Ce ne sono alcune col bancone per il banchetto funebre. Ci si sdraiava li per celebrare il defunto. In occasione delle ricorrenze dei Parentalia o dei Feralia. Erano i figli? I liberti? I genitori? Si accomodavano davanti agli ingressi delle camere funerarie e organizzavano piccole riunioni che donavano gocce di immortalità ai defunti. Quella immortalità che tanto veniva desiderata. Nel ricordo e nel cuore di chi era ancora in vita. Cosi si spiega la cura per le descrizioni relative a se stessi, al proprio lavoro, la propria famiglia. L’impegno profuso per la costruzione. Costruzione che, sembrano volerci dire, no, non è irrilevante! Misura ben 25 o 28 piedi (ogni piede sono quasi 30 cm) in fronte, cioè lungo la strada e altrettanto, o poco meno, in agro, cioè nel retro, verso la campagna.
Questa è una delle indicazioni che mi ha sempre colpita di più. Nel momento della vita in cui ci si rivolge al pensiero della propria morte e si prepara, incerti e timorosi riguardo al ciò che sara’, la propria eterna dimora, ci si è preoccupati di indicare i dati, per così dire catastali, dell’immobile. Tra una tomba e l’altra stradine e pianerottoli, come un ordinato villaggio. Era gente semplice, operosa, artigiani, commercianti, come ci insegnano le epigrafi e i pochi mosaici ancora visibili. Leggo i loro nomi, alcuni sono liberti, si capisce dall’origine greca, alcuni ci spiegano che mestiere facevano, certo con orgoglio, come il dottore o l’ostetrica…(tomba 100). E poi c’è la piccola Zosyme, vissuta 8 anni, 7 mesi e 16 giorni. Era stata allevata con amore da un genitore adottivo, il liberto Maternus che faceva il tabellarius, il corriere postale (tomba 96).
È incredibile come tutto prenda vita intorno a me. Proprio qui, dove ci si aspetta di trovare il contrario della vita, è più forte il pensiero per la vita, per chi ha vissuto. Mi viene in mente Foscolo, in fondo non lo avevo capito affatto quando lo leggevo distratta dal dovere dello studio. E le passeggiate della mia adolescenza, e non solo, nel cimitero del paese dei nonni, così piene di volti familiari, cosi stranamente piacevoli e piene di vita.
Federica Carpinelli