La Necropoli di Porto all’Isola Sacra e il profumo della vita.
Non so come  possa essere accaduto che un’associazione culturale di Ancona abbia richiesto di visitare la Necropoli di Porto all’Isola Sacra, ma è accaduto.
E  così dopo non so più quanti anni sono passata di nuovo attraverso quel cancello che si apre sulla terra mista a sabbia di uno dei posti più particolari che io conosca.
Il custode è un signore con i capelli bianchi che mi viene incontro tra i suoi cani scattanti e  scodinzolanti. Vivono lì. In via di Monte Spinoncia dove  nemmeno il navigatore è stato capace di condurmi senza qualche incertezza. L’ingresso alla necropoli è gratuito e questa volta si fa un’eccezione perché è domenica mentre invece l’apertura è solo di sabato. Il primo e il terzo sabato del mese. Il mio gruppo è in grande ritardo, non riescono a trovare la strada. Non è facile. Allora ho un po’ di tempo. Il tempo di entrare da sola. Il basolato è comodo, ben conservato, a doppia carreggiata.
A destra e sinistra i soliti muri e muretti dei siti archeologici. Ma basta qualche passo in più e lo spettacolo è di quelli che a me ancora da’ gioia, meglio, emozione. Edifici intatti. Iscrizioni integre. Leggibili. Di quelle che in un attimo ti permettono di entrare nel passato,  di conoscere quasi sensibilmente chi si è curato di quelle costruzioni, le ha volute, costruite e infine abitate. Le tombe oggi sono numerate e quelle meglio conservate sono quelle allineate ad ovest, cioè a sinistra. Ce ne sono alcune col bancone per il banchetto funebre. Ci si sdraiava li per celebrare il defunto. In occasione delle ricorrenze dei Parentalia o dei Feralia. Erano i figli? I liberti? I genitori? Si accomodavano davanti agli ingressi delle camere funerarie e organizzavano piccole riunioni che donavano gocce di immortalità ai defunti. Quella immortalità che tanto veniva desiderata. Nel ricordo e nel cuore di chi era ancora in vita. Cosi si spiega la cura per le descrizioni relative a se stessi, al proprio lavoro, la propria famiglia. L’impegno profuso per la costruzione. Costruzione che, sembrano volerci dire, no, non è irrilevante! Misura ben 25 o 28 piedi (ogni piede sono quasi 30 cm) in fronte, cioè lungo la strada e altrettanto, o poco meno, in agro, cioè nel retro, verso la campagna.
Questa è una delle indicazioni che mi ha sempre colpita di più. Nel momento della vita in cui ci si rivolge al pensiero della propria morte e si prepara, incerti e timorosi riguardo al ciò che sara’, la propria eterna dimora, ci si è preoccupati di indicare i dati, per così dire catastali, dell’immobile. Tra una tomba e l’altra stradine e pianerottoli, come un ordinato villaggio. Era gente semplice, operosa, artigiani, commercianti, come ci insegnano le epigrafi e i pochi mosaici ancora visibili. Leggo i loro nomi, alcuni sono liberti, si capisce dall’origine greca, alcuni ci spiegano che mestiere facevano, certo con orgoglio, come il dottore o l’ostetrica…(tomba 100). E poi c’è la piccola Zosyme, vissuta 8 anni, 7 mesi e 16 giorni. Era stata allevata con amore da un genitore adottivo, il liberto Maternus che faceva il tabellarius, il corriere postale (tomba 96).
È incredibile come tutto prenda vita intorno a me. Proprio qui, dove ci si aspetta di trovare il contrario della vita, è più forte il pensiero per la vita, per chi ha vissuto. Mi viene in mente Foscolo, in fondo non lo avevo capito affatto quando lo leggevo distratta dal dovere dello studio. E le passeggiate della mia adolescenza, e non solo, nel cimitero del paese dei nonni, così piene di volti familiari, cosi stranamente piacevoli e piene di vita.
Federica Carpinelli

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