Categoria: A spasso con Lara

Ritratto di Bindo Altoviti di Raffaello

Volevo raccontarvi di questo dipinto che mi è capitato un po’ per caso di vedere alla National Gallery di Washington lo scorso Dicembre. Appena entrata nel museo sono andata a cercare la famosa Madonna d’Alba di Raffaello, che è in mostra alle Scuderie del Quirinale. Nella sezione dedicata alle opere italiane, il Museo è enorme e si affaccia su un lunghissimo rettilineo chiamato The National Mall, sono poi rimasta affascinata da questo ritratto che non conoscevo. Ho fatto un po’ di ricerche, in realtà non c’è molto, e ho messo insieme queste notizie più una mia descrizione dell’opera.
Ho scoperto che questo bellissimo ritratto, a mio avviso di eccezionale qualità pittorica, non riconosciuto da tutti gli studiosi come opera di Raffaello, viene citato nelle Vite del Vasari che dice questo “ a Bindo Altoviti fece il ritratto suo quand’era giovane”. Mi ha colpito il nome Bindo Altoviti e ho scoperto che era, all’epoca, un giovane banchiere esponente di una ricca e prestigiosa famiglia di banchieri fiorentini in esilio a Roma per la loro opposizione ai Medici. A quanto pare Bindo Altoviti fu una figura di spicco tra i mecenati del Rinascimento, era un uomo d’affari colto e raffinato e fu amico di numerosi artisti, tra cui Raffaello a cui commissiona la Madonna dell’Impannata, anche questa è stata portata in mostra alle Scuderie del Quirinale. Molto probabilmente i due si conoscono a Roma, quando Raffaello era all’apice della sua carriera, e il banchiere, facendo un rapido calcolo, doveva avere circa 21/25 anni.
Raffaello lo ritrae di spalle con la testa girata e lo sguardo puntato verso lo spettatore, indossa un’elegante mantello blu aperto sulle maniche, con una scollatura sulla schiena che lascia intravedere un bordo di una camicia candida e la pelle rosata. In testa ha un berretto nero, che non nasconde la fronte, alta e luminosa, da cui scende una lunga chioma bionda che all’altezza del collo si divide in due ciocche, dando un aspetto sensuale alla figura. Il volto emerge dall’ombra dello sfondo e mette in evidenza le labbra carnose del giovane e una parte della guancia su cui il pennello di Raffaello evidenzia un accenno di basette e di peluria all’angolo del labbro sinistro.
Ho poi scoperto che Bindo Altoviti muore a Roma nel 1557 e abitava in un palazzo, da lui fatto costruire, lungo il Tevere all’altezza di Ponte S. Angelo. Purtroppo la sua residenza andò completamente distrutta durante la costruzione degli argini del fiume. Di tutto l’immobile si salvò solo la loggia del pianterreno, decorata con stucchi e dipinti dal Vasari, ed è stata ricomposta a Palazzo Venezia. Mi ricordo infatti che con Federica, durante uno dei nostri sopralluoghi, avevamo visto questo particolare ambiente ricostruito in una sala del museo e avevamo letto il nome del committente Altoviti, dopo queste ricerche sono contenta di poterlo associare a questo bellissimo ritratto.

 

 

 

 

 

Baldassare Castiglione
In questo dipinto, conservato al Louvre, Raffaello rappresenta il dotto umanista, letterato e diplomatico che fu al servizio delle più importanti corti italiane dell’epoca. Francesco Maria della Rovere duca di Urbino, Francesco II Gonzaga di Mantova e Ludovico il Moro a Milano. Nel 1528 a Venezia viene pubblicata la sua opere maggiore ”il Cortigiano”. Questo è considerato uno dei più influenti ritratti della pittura europea, Raffello è stato infatti capace di fissare sulla tela non solo l’immagine dell’illustre letterato ma anche la sua anima interiore.
La data dell’opera era stata generalmente fissata intorno al 1514-1515 ma la critica ora è più propensa ad anticiparla al 1513, cioè quando il Castiglione si trovava a Roma per partecipare ai funerali di papa Giulio II come rappresentante del duca di Urbino. Insieme al suo signore assiste anche all’elezione e incoronazione del nuovo papa Leone X. Stilisticamente il dipinto s’inserisce nel “momento veneto” di Raffaello, cioè quando è impegnato nella stanza di Eliodoro ed è in contatto, tramite il banchiere Agostino Chigi, con Sebastiano del Piombo.
E’ facile immaginare come i due, che già si conoscevano ad Ubino, abbiano stretto in quel frangente una forte amicizia, un sodalizio umano e intellettuale, che durerà negli anni e li porterà a scrivere insieme la famosa lettera di denuncia nel 1515 a papa Leone X.
Il ritratto raffigura un uomo sereno e affabile, con eleganti abiti invernali, una giubba di velluto nero avvolta in una pelliccia da dove emerge una candida camicia plissettata. Il fondo è neutro irreale, non c’è via di fuga per l’occhio e tutto contribuisce all’isolamento della figura. In testa indossa una berretto particolare chiamato “scuffiotto” decorato con una medaglia, per coprire la sua calvizie precoce nonostante l’età, aveva nel ritratto 35 anni. Lo sguardo è il vero protagonista dell’immagine, l’attenzione si concentra sul bel viso lievemente roseo, gli occhi azzurri e penetranti affiorano dalla gamma scura dell’abbigliamento e denotano il lampo profondo dell’anima e tutta l’intelligenza e il fascino del personaggio che non ostenta la sua posizione. E’ così che lo ritrae il suo amico in una pausa di riflessione durante una loro conversazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La morte di Raffaello

“Lasciando questa corte in grandissima et universale mestitia” con queste parole Pico della Miranda avverte la sua signora Isabella d’Este della morte di Raffaello.
Raffaello morì a Roma il 6 Aprile del 1520 il giorno stesso in cui era nato, il 6 Aprile del 1483, entrambi erano un venerdì Santo, la sua morte, come citato nella lettera, lasciò tutti in grande sconcerto, un cordoglio generale e una tristezza diffusa tra umanisti e semplici cittadini. Ad accentuare la portata dell’evento nefasto lo stesso giorno si verificò un problema statico nei palazzi Vaticani che fu interpretato come la scossa di terremoto che spezzò le rocce al momento della morte di Cristo.
Secondo Vasari la sua morte fu dovuta ad una “grandissima febbre” mal curata che si protrasse per otto giorni, dovuta, secondo l’aretino agli eccessi amorosi a cui si era dedicato durante il Carnevale romano, si trattò molto probabilmente di un’infezione polmonare dovuta ad un sovraccarico di lavoro e alle tante ore spese negli umidi ambienti delle rovine romane che stava studiando. Le sue condizioni si aggravarono subito e lui stesso prese la decisione di far testamento sul letto di morte. Lasciò come suoi eredi i due allievi prediletti, Giulio Romano e Giovan Francesco Penni e lasciò anche una somma di millecinquecento ducati in oro per la sua sepoltura .Le sue esequie si tennero il giorno dopo, non si poteva infatti celebrare il funerale la Domenica di Pasqua, la salma fu accompagnata da cento torce portate da pittori e fu tumulato, come da sue disposizioni, nel Pantheon. Nonostante il poco tempo a disposizione il tutto si svolse come un funerale di stato in grandissima pompa, lo stesso avvenne pochi giorni dopo, l’11 Aprile, per la morte del suo amico Agostino Chigi.
Della sua tomba nel corso dei secoli si persero le tracce fino al 1833 quando su iniziativa dei Virtuosi del Pantheon si cominciò a scavare e solo dopo 5 giorni di lavori, sotto l’edicola della Madonna del Sasso del Lorenzetto, citata dal Vasari, emerse una cassa di legno d’abete nel cui interno fu ritrovato lo scheletro di Raffaello. Dopo il riconoscimento anatomico, i resti vennero messi in una cassa di pino sistemata all’interno di un sarcofago del I sc. d.C. donato da papa Gregorio XVI, proveniente dai Musei Vaticani.